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mercoledì 26 giugno 2013

Tra "divenire zombie" ed il desiderio di cambiamento (1ª Parte)


Barbs Popart - What Goes Around Comes Around
Nietzsche aveva ragione: Dio è morto.

Purtroppo, però, la conseguenza è stata che il "divenire-zombie" è la dimensione paradossale di esercizio del potere nella contemporaneità.

Lo scrivevo qualche tempo fa sul mio profilo Facebook in quelli che chiamo "pensieri caos-nessi" e credo sia giunta l'ora di andare più a fondo nella disamina di questo assunto che potrebbe apparire, se lasciato in forma di aforisma, una sorta di mero enunciato estetico.

Intanto, possiamo scindere la mia tesi in 3 concetti chiave sulla cui analisi mi soffermerò in questo post e nei prossimi:

1. "Dio è morto";

2. "Divenire zombie" come conseguenza della morte di Dio;

3. Il Potere come forma di persistenza e di relazione paradossale fra "l'essere morto di Dio" ed "il divenire zombie".

Questi tre concetti chiave devono, poi, essere abbinati ad un altro concetto, ossia quello di cambiamento, che al momento lascerò sullo sfondo e - come dichiarato nel titolo di questo post - analizzerò in un secondo momento più in dettaglio nell'accezione generica di "desiderio di cambiamento".

I)"Dio è morto"

La tesi che Dio è morto, enunciata da Nietzsche, deve essere esplicitata con riferimento all'identità di Dio, ammesso che possa averne una (questo è un punto fondamentale, come quello dell' "uno").

Se seguiamo quanto afferma Alain Badiou nel suo "Ontologia transitoria" (2008), sul quale mi baserò in questo post, possiamo individuare tre "dèi capitali": il Dio delle religioni, il Dio della metafisica ed il Dio dei poeti.

Possiamo partire, dunque, da queste tre manifestazioni fenomenologiche del "concetto" di Dio dalle quali, nel prosieguo, ci renderemo conto che, in realtà, Dio non è un concetto qualsiasi quanto piuttosto un super-concetto (ma potremmo definirlo anche un iper-concetto o un oltre-concetto) - tanto che Nietzsche lo ha dovuto letteralmente "sostituire" con il "super-uomo" o "l'oltre-uomo" - e, in quanto tale, non è mai definitivamente superabile in quanto contiene in sé una potenza generativa infinita dovuta al fatto che, a mio parere, l' "iper-concetto Dio" non ha alcuna identità (l' "Uno non è" secondo Badiou), ma è invece una manifestazione nell'ambito del pensiero di quello che, ontologicamente, in Badiou è chiamato "l'inconsistenza dell'essere-in quanto essere" (la molteplicità pura che ha come nome proprio il vuoto) e in Deleuze la differenza ed il desiderio.

Schizogenesis - Matthew Kowalski
In sintesi, in prima approssimazione, possiamo dire che l'iper-concetto di Dio si auto-genera in perpetuo, a partire da un lato dal vuoto, che permea il processo di soggettivazione dell'essere umano (il soggetto-vacuità, che necessita quindi di "produrre-per-dare consistenza" al vuoto originario del suo essere, quest'ultimo da non confondere con il concetto psicoanalitico di "mancanza"), e dall'altro dalla differenza, nel suo divenire "eterno ritorno e ripetizione della differenza", che si manifesta con la dimensione desiderante (c'è qui, evidentemente, una dualità vuoto-differenza che va approfondita).

Tornando ai tre "dèi capitali", possiamo senz'altro affermare, con Nietzsche e con Badiou, che il Dio delle religioni è morto e vediamo perché attraverso le parole di Badiou stesso:

"Ma persino Lacan, che non si può certo sospettare di compiacenze clericali, sosteneva che fosse propriamente impossibile farla finita con la religione. 
Ebbene, io sono convinto del contrario, e prendo alla lettera la formula 'Dio è morto'. E' accaduto, o come direbbe Rimbaud, 'ceci est passé'. 
Dio, non c'è più. Ed anche la religione non c'è più.
Vi è in questo, come Jean-Luc Nancy ha enunciato con forza, qualcosa di irreversibile, rispetto a cui si tratta solo di capire a causa di quale meccanismo soggettivo si possa con tanta facilità far finta che non sia successo niente, e credere che anzi la religione prosperi o, come si dice oggi, ritorni. 
Ma no.
Nulla ritorna, non bisogna credere agli spettri, il morto va alla deriva, solitario e dimenticato, nel suo sepolcro anonimo e senza luogo.
A condizione, beninteso, di sostenere che solo un Dio vivente è potuto morire, senza resurrezione possibile."

E prosegue:

"Che Dio sia morto vuol dire: non è più quel vivente che si può incontrare quando l'esistenza si immerge nella propria trasparenza. E che qualcuno dichiari alla stampa di averlo incontrato sotto a un albero, o in una cappella di campagna, non cambia nulla alla faccenda.
Poiché sappiamo che nessun pensiero può far valere i propri diritti a partire da tale incontro, così come, a chi dichiari di aver visto uno spettro, si accorda unicamente la considerazione positiva di una manifestazione sintomale.
In questo senso si deve dichiarare che la religione è morta, e che anche quando essa sembra mostrarsi nell'apparente dispiegamento dei suoi poteri, si tratta solo di un sintomo particolare, sintomo di commemorazione in cui la morte è onnipresente.
Quel che sussiste non è più la religione, ma il suo teatro
Solamente a teatro infatti, come nell' Amleto, pare che gli spettri possano avere qualche efficacia.
In questo teatro, spesso anche cruento, ci viene presentato ciò che ci si immagina potrebbe essere la religione se il Dio vivente, di cui nessuno ha la benché minima idea, non fosse morto.
Le obiezioni genericamente mosse contro il motivo della morte reale del Dio vivente, e dunque della religione, si rifanno, da una parte alla dottrina del senso, e dall'altra ai cosiddetti integralismi, che testimonierebbero della convinzione del ritorno religioso.
Non credo che queste obiezioni siano pertinenti."


In Limbo - Odd Nerdrum
E' interessante notare come Badiou, qualche capoverso prima, affermi con grande lucidità che:

"Il punto cruciale, allo stesso tempo semplice ed arduo, rispetto alla portata della formula 'Dio è morto' si formula così: se si afferma che 'Dio è morto', il Dio a cui ci riferiamo era vivente, apparteneva alla dimensione della vita.
Di un concetto, di un simbolo o di una funzione significante si può dire che sono divenuti obsoleti, che sono stati contraddetti, che sono divenuti insufficienti.
Non si può dire che sono morti.
Ragion per cui qualora ci si approssimi alla questione rappresentata da Dio a partire dalle simbolizzazioni primordiali si finisce per concludere che Dio non è morto, o che è immortale." 

L'affermazione di Badiou che può morire solo "quel Dio" che è vivente è qui essenziale in tutta la sua apparente semplicità: infatti, come dicevo sopra, se intendiamo Dio come "Iper-Concetto" siamo evidentemente obbligati a concludere che, in quanto tale, non potrà mai morire finché esisterà l'essere umano ed il suo legame pensante all'inconsistenza dell'essere (ossia del vuoto), per esprimermi con i termini usati dall'ontologia di Badiou.

Approfondiamo meglio la questione.

Possiamo affermare che "il Dio della religione è morto" se e solo se lo intendiamo come Dio vivente e poi morto. La questione è del tutto letterale. Diciamo che riguarda, in tal senso, principalmente le religioni monoteiste che affermano la venuta di Dio sulla Terra (già accaduta per i cristiani o annunciata come per l'ebraismo) nella forma di messia e tocca molto meno quelle religioni in cui il concetto di Dio è più vicino, al ben più insidioso, Dio della metafisica.
Molto banalmente, non siamo obbligati a credere che ciò che è morto possa tornare a vivere se non per fede (questo è un punto che mette in difficoltà, a mio avviso, la stessa ontologia di Badiou, dove la fedeltà/decisione/assioma ha una posizione fondamentale, ma che comunque ha il pregio di essere una ontologia materialista dove, forse, l'unico Dio-iper concetto è proprio l'assioma della sceltasia in senso matematico che in senso politico, e la sua intima connessione con il concetto di infinito, quello di molteplicità e quello di differenza).

Credit: Vladimir Kush
Come dicevo, è invece molto più insidioso "liquidare come morto" il Dio della metafisica in quanto tale Dio è un iper-concetto che si metamorfosa storicamente nel pensiero metafisico - che è filosofico, ma soprattutto politico-economico - e che intrattiene con il Dio delle religioni un rapporto tanto incestuoso quanto pericoloso e intrinsecamente produttivo di violenza.

Leggiamo ancora Badiou:

"Al riguardo è decisivo distinguere ciò che viene designato dal termine 'Dio' nella formula 'Dio è morto', punto in cui questa parola si connette alla religione, e ciò che con questa stessa parola si intende nella speculazione metafisica.
Uno dei tanti meriti di Quentin Meillassoux è quello di aver stabilito, in una prospettiva ontologica ed etica di grande originalità, che il Dio della metafisica è sempre stato la componente essenziale di una macchina da guerra razionalista contro il Dio vivente della religione.
Alla metafisica infatti, come già Pascal obiettava a Descartes, non conviene in realtà che un Dio morto, un Dio già morto o morto da sempre, un Dio con cui nessuna religione può nutrire la propria fede, quand'anche la religione, per assoggettare un pò gli spiriti più innammorati della ragione, cercasse di dichiararsi compatibile con un tale Dio.
Ciò che al fondo essa non è.
Poiché il rischio religioso è fare di Dio un vivente, con il quale cercare di vivere e, vivendo con lui, produrre senso per la vita nella sua totalità, morte compresa.
Mentre il rischio metafisico sta invece nel vedere nella parola 'Dio' solo la consistenza probante di un concetto, e,  a partire da questo concetto, nel garantire che le verità hanno un senso.
Il termine 'Dio' è un anfibologia, perché se si considera Dio come un vivente, questo termine indica il senso totale della vita e, se si considera Dio in quanto da sempre già morto, esso indica il senso possibile della verità.
In rapporto a Dio è vero che la religione è vivificante e la metafisica mortificante.
La grande opera di mortificazione metafisica di Dio comincia, con magnificenza, sin dai Greci. Muove certo dalla questione del senso, della donazione di senso, o della totalizzazione del senso, ma lo fa, al contrario dell'anti-filosofo Kierkegaard, senza considerare gli affetti e lo sprofondamento esistenziale in tale donazione.
Da questo punto di vista il Dio di Aristotele (il supremo motore immobile, nda) è esemplare."

Il Dio della metafisica (intesa come metafisica classica, diciamo fino ad Heidegger escluso che per Badiou, invece, aderisce ad un altro Dio: quello che è nominabile come il Dio dei poeti, al quale in verità aveva aderito già Nietzsche) pertanto è quello che si insedia come Principio e Origine (il concetto di onto-teologia di Heidegger ne dà una visione parzialmente condivisibile e radicale nel suo considerare con tale nome anche, e soprattutto, la stessa scienza) e che, in quanto tale, dà senso e verità all'esistenza dell'essere umano ed alle sue (presunte) decisioni (presunte, in quanto pre-determinate dal senso "dispensato" dagli iper-concetti).

Se vogliamo essere ancora più radicali, potremmo asserire che lo stesso pensiero postmoderno, nella sua critica ad ogni "grande narrazione" (leggasi, nel mio lessico, iper-concetto), finisce esso stesso per essere una grande narrazione sui generis e, quindi, nel negare ogni verità afferma l'esistenza dell'inesistenza di ogni verità (che rischia di essere una affermazione assoluta) e quindi è esso stesso "fedele" (continuo ad usare il lessico di Badiou, che qui mi sembra fecondo) ad un iper-concetto: siamo nella circolarità del pensiero, tanto invocata per la sua fecondità da Heidegger quanto "biasimata" per il suo intrinseco "non senso" da Wittgeinstein che vedeva nei "giochi linguistici" l'essenza della filosofia e della metafisica, e dalla quale sembra quasi impossibile poter uscire tanto che il pensiero postmoderno continua ad avvilupparsi su sé stesso nelle varie declinazioni del pensiero "più o meno debole", ma concretamente incapace di dare risposte alle domande più urgenti della contemporaneità (equità sociale, giustizia, democrazia reale ecc.).
Purgatorio - Fred Duignan

Se è certo che 'il Dio delle religioni è morto', dunque, possiamo dire che il 'Dio della metafisica', che concepiremo in maniera estensiva come caratterizzante anche (e forse soprattutto) il pensiero contemporaneo così come è permeato da iper-concetti come quelli dell'assiomatica economica capitalistica o di quella politica-democratica rappresentativa, non è morto ma che è "in decostruzione" con esiti, come vedremo (o, se volete, come osserviamo anche tutti i giorni), paradossali.

Infatti, se alla morte del 'Dio delle religioni' si sta contrapponendo il proliferare degli integralismi contemporanei, alla morte del 'Dio della metafisica' si contrappone la persistenza metamorfica del potere esercitato in maniera autoritaria e vessatoria da parte della politica e dell'economia, supportato ovviamente come sempre (anche se in forme sempre più fluide e contraddittorie) da quello religioso.

In sintesi, nel nostro continuo appellarci ai "politici", allo "stato", alla "democrazia" come forme "esterne" e gerarchizzate non facciamo che avallare la persistenza del 'Dio della metafisica' e, quindi, decretare ogni giorno in più la nostra sudditanza ad un Principio regolatore trascendente.

Il potere, cioè, e la sua conquista, è intimamente connesso alla questione del 'Dio delle religioni è morto' (gli integralismi sono la risposta a questo evento) e a quella del 'Dio della metafisica è morto' (l'economia capitalistica e le forme democratiche di tipo rappresentativo vigenti sono la dimensione "vivente", ma come affermerò in realtà nella forma di "divenire zombie", di tale morte-in divenire del Dio metafisico).

Ancora Badiou:

"Quanto agli integralismi contemporanei, sosterrò che il considerarli come il ritorno del religioso non porta da nessuna parte. Si tratta di formazioni contemporanee, di fenomeni politico-statali del nostro tempo e, diciamolo pure: si tratta di invenzioni, ormai chiaramente improduttive su di un piano propriamente religioso, ma virulente nello spazio che esse stesse si sono assegnate, quello della conquista del potere.
In realtà bisogna pensare i fenomeni che vengono solitamente chiamati integralismi come una delle forme soggettive, sarei tentato di dire come uno dei tipi soggettivi, in cui si enuncia precisamente la morte di Dio.
Questo tipo corrisponde a quello che io chiamo soggetto oscuro (qui si potrebbe aprire una similitudine con il polo paranoico - segregativo di Deleuze nell'Anti-Edipo, nda), perché l'enunciato di verità di cui esso rappresenta l'attivazione è attivo solo in quanto enunciato sbarrato, nascosto, inconscio.
Per questo la sua unica risorsa è mortificare ciò che lo costituisce, cosa di cui nessuno psicanalista si stupirebbe.
Da questo l'affermazione disperata e sanguinaria di una religione finta e mortifera, il cui principio reale, soggettivamente nascosto, è, da un capo all'altro, la morte di Dio."


The Conscious Stream - Peter Rock

Il paradosso, in questo caso, è la produzione mortifera in nome di Dio, ma che in realtà è in "nome della morte di Dio".

Per quanto riguarda il 'Dio della metafisica' "in decostruzione", sempre Badiou afferma che:

"Non consegue, però, l'ho già detto, che anche il Dio della metafisica sia morto.
Su questo punto bisogna partire da quella che io definirei l'aporia di Heidegger. Come si spiega che il pensatore che determina la metafisica in quanto onto-teologia, come occultamento della questione dell'essere attraversa quella dell'ente supremo, finisca per affermare, nella sua dichiarazione testamentaria, che solo un dio ci può salvare? Evidentemente questo è possibile, ancora una volta, solo se la parola 'dio' si presta all'equivoco.
Il solo Dio che ci può salvare non è certo il Dio-Principio in cui si concentra l'oblio dell'essere nella metafisica occidentale. Si converrà ugualmente sul fatto che neppure si può trattare del Dio vivente delle religioni, la cui morte, sia pure con qualche contorsione, Heidegger, seguendo Nietzsche, accetta. E' dunque necessario che oltre al Dio storicamente morto delle religioni, e al Dio da decostruire della metafisica, Dio che del resto può assumere, nell'umanesimo post-cartesiano, il nome stesso di uomo, bisogna dunque che si affacci al pensiero un terzo Dio, o un principio divino d'altro ordine.
Un tale Dio, o tali dèi, o un tale principio divino, in effetti esistono.
Sono il frutto di una creazione romantica, e segnatamente di Hölderlin. Ragion per cui lo chiamerò Dio dei poeti. Non si tratta nè del soggetto vivente della religione, sebbene si tratti di vivere vicino a lui, ma nemmeno del Principio della metafisica, sebbene si tratti di trovare presso di lui il senso sfuggente della Totalità.
E ciò a partire da cui il poeta si dà l'incantamento del mondo, e che se perso espone all'inoperosità. Un tale Dio non si può dire né vivo né morto, nè che lo si possa decostruire a piacimento come un concetto affaticato, saturato o sedimentato.
L'espressione poetica fondamentale atta a descriverlo è: questo Dio si è ritirato, lasciando il mondo in preda al disincanto."

Giustamente, a mio parere, Badiou vede in questa evocazione salvifica del Dio dei poeti da parte di Heidegger una forma di pensiero nostalgico (e, come sappiamo, intrinsecamente anti-scientifico nella sua critica all'espressione della scienza nella Tecnica moderna attraverso il linguaggio del "matema", che deve per Heidegger essere abbandonato a favore del "poema"), che manca il bersaglio clamorosamente nei confronti della necessità di un nuovo pensiero contemporaneo, ateo-materialista e impegnato nella creazione di un nuovo concetto di comune (qui entrano in gioco anche Negri e Hardt, ma lo vedremo in seguito) e di convivenza biopolitica.

Riassumendo: morte del dio religioso, decostruzione del dio metafisico e rottura con il ritiro del dio dei poeti sono le tre forme principali della "questione della morte di Dio", che continuerò ad affrontare nel prossimo post dove si comincerà a delineare la dimensione del nostro attuale "divenire zombie".

6 commenti:

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